Terzo appuntamento dedicato ai Siouxsie and the Banshees: oggi parliamo di "Juju".
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Generalmente considerato dalla critica come il capolavoro dei Siouxsie And The Banshees, "Juju" (1981) è il quarto album in studio della band. Pubblicato tramite la Polycord Records e prodotto in collaborazione con Nigel Gray, il disco rappresenta un ritorno al suono maggiormente acustico dei primi due dischi, dopo la svolta elettronica di "Kaleidoscope". Come dichiarato da Severin, "Juju" è a tutti gli effetti un concept album. Sebbene i Banshees non avessero pianificato di strutturarlo seguendo una narrazione precisa, i brani appaiono legati da un filo oscuro. È proprio questo clima tenebroso a fare della band la prima e principale  esponente di una forma di dark-punk a cui in futuro si rifaranno gruppi come i Joy Division, i Bauhaus e i Cure. Ma in questo quarto lavoro il gusto per l'occulto si unisce in modo del tutto innovativo a un tribalismo di ispirazione africana che appare chiaro già dal titolo del disco: "juju" è infatti una forma di musica tradizionale del continente nero, dal quale proviene anche la curiosa statua in copertina. Il primo e plateale esempio di questo connubio è il singolo "Spellbound", una danza infernale sostenuta dalla chitarra acustica di McGeogh e dall'incalzante batteria di Budgie, mentre la voce di Siouxsie lancia il suo incantesimo sull'ascoltatore. Segue l'ipnotico arpeggio di chitarra di "Into the Light", in cui McGeogh sfrutta un insolito dispositivo, il Gizmotron, per modificare il suono del suo strumento rendendolo simile a un violino. Il secondo singolo è "Arabian Knights", pietra miliare del dark-punk, in cui melodie dal sapore mediorientale raccontano di una donna attratta da un uomo abusivo attraverso gli stereotipi di un osservatore occidentale. L'elettronica dominante in "Kaleidoscope" fa la sua comparsa nella violenta "Monitor", per poi dissolversi nuovamente lasciando spazio alla ballad funerea di "Night Shift". Il ritmo torna a essere sostenuto con "Sin In My Heart", mentre in "Head Cut" il grido da strega di Siouxsie apre il sipario su uno scenario brutalmente horror, tra teste tagliate e maschere della morte. Chiude il disco il rituale di "Voodoo Dolly", un incubo gotico costruito sul ritmo tribale di Budgie.
L'album riscuote particolare successo nel Regno Unito, acclamato dalla critica per la straordinaria coesione tra i membri del gruppo. Oltre alla performance vocale di Siouxsie, viene lodato il talento di McGeogh e di Budgie nella costruzione dei magistrali incastri ritmici dell'album, che raggiunge la settima posizione nella classifica inglese e vi rimane per ben 17 settimane. A "Juju" faranno seguito altri sette album prima del definitivo scioglimento della band nel 1996, dopo oltre 20 anni di carriera.
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Vi suggeriamo oggi l'ascolto di "Spellbound", forse il brano più rappresentativo dei Siouxsie and the Banshees, definito da Barney Hoskyns del New Musical Express come una "gloriosa tempesta elettrica".Â